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Effetti dei cambiamenti climatici sulla flora d’alta quota

 

La diffusione verso l’alto di molte specie alpine è limitata dall’ambiente ostile: con l’aumentare dell’altitudine le piante soffrono a causa di estati troppo fredde o troppo brevi. In seguito al riscaldamento globale, oggi sono tuttavia sempre di più le specie che riescono a spingersi ad altitudini prima impensabili. Questo lento cambiamento della flora alpina e le sue cause possono essere studiati in maniera particolarmente efficace sulla base delle cime delle montagne. Numerose liste storiche che elencano la flora d’alta quota (Fig. 4) sono la migliore base di partenza per analizzare i cambiamenti della flora in una zona ben localizzabile.

Negli ultimi anni, una rete internazionale di ricercatori che collaborano con Sonja Wipf e Christian Rixen dell’SLF ha analizzato nuovamente circa 250 di queste cime in tutta Europa per rilevare l’attuale biodiversità di queste aree. Ciò ci permette di studiare in che modo il cambiamento climatico ha influito sulla flora alpina e se le specie adattate al freddo saranno in grado di sopravvivere anche in un futuro più caldo.

 

Il riscaldamento globale ha causato il cambiamento della flora d’alta quota a livello europeo

Nel quadro di uno studio su vasta scala svolto in collaborazione con ricercatrici e ricercatori provenienti da 11 paesi, abbiamo studiato i cambiamenti della flora alpina in tutta Europa, mettendo a confronto i vecchi e i nuovi censimenti della vegetazione di una stessa cima. La serie di dati così ottenuta è unica nel suo genere: infatti comprende un totale di 302 cime montane (dai Pirenei passando per le Alpi, l’isola Spitsbergen, la Scozia e sino ai Carpazi, Fig. 1) e copre un periodo di tempo di ben 145 anni. I risultati dimostrano per la prima volta non solo che il numero delle specie di piante d’alta quota aumenta in tutta Europa, ma anche che questo aumento è sempre più veloce. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista specializzata «Nature» (Steinbauer et al. 2018).

Per individuare le cause di questo rapido incremento di specie arboree abbiamo testato tre possibili fattori d’influenza: variazione della temperatura estiva, variazione delle precipitazioni annue, così come somma dell’accumulo di azoto. Solo la temperatura ha esercitato un effetto coerente e significativo sul numero di specie: più era aumentato il riscaldamento tra due censimenti della vegetazione su una cima, più era aumentato anche il numero di specie. Negli ultimi decenni questo processo ha subito un’accelerazione di pari passo con l’aumento della temperatura. Reazioni accelerate ai cambiamenti climatici come queste da noi dimostrate per la prima volta negli habitat alpini erano sinora note principalmente a livello di sistemi abiotici, ad es. ghiacciai.

 

Le specie alpine verranno rimpiazzate dalle nuove arrivate?

A prima vista, un aumento della biodiversità sembra essere una buona notizia. Ma è vero solo in parte. Infatti, molti dei nuovi colonizzatori delle cime europee sono specie che vivevano più in basso e che, grazie al riscaldamento, sono riuscite a raggiungere altitudini alle quali prima non potevano sopravvivere. Queste specie sono spesso più grandi e più competitive rispetto alle tipiche popolazioni delle cime, considerate specialiste in grado di tollerare lo stress e quindi abituate a sopravvivere a basse temperature ed estati brevi. C’è quindi il rischio che con il passare del tempo le specialiste che tollerano il freddo vengano rimpiazzate dalle specie generaliste più termofile. In questo modo, l’areale di distribuzione delle tipiche specie alpine verrebbe spinto ad altitudini sempre più alte e la singolarità della flora alpina sminuita.

A contrastare il soppiantamento delle specie che tollerano il freddo potrebbe però essere il microclima eterogeneo dei paesaggi alpini. Nello spazio di pochi metri possono esserci differenze di temperatura di diversi gradi Celsius, ad es. tra i pendii esposti a sud e quelli esposti a nord. Mentre le ultime specie arrivate andranno a insediarsi nei microhabitat particolarmente caldi, è probabile che le specie adattate al freddo resistano ancora a lungo nei punti particolarmente freddi.

Chi vincerà e chi verrà sconfitto?

Nella competizione con le «nuove» specie, avrà la meglio chi sarà in grado di crescere sui ghiaioni. Lo dimostrano le analisi che abbiamo svolto su 11 cime: prima abbiamo mappato la distribuzione su piccola scala di 12 specie, poi l’abbiamo confrontata con il successo a lungo termine della stessa specie sulle cime delle Alpi svizzere (Kulonen et al. 2018). Negli ultimi 100 anni, le specie che prediligono le posizioni sui ghiaioni hanno dimostrato la crescita maggiore sulle cime svizzere. I ghiaioni non solo sono frequenti sulle cime, ma costituiscono anche habitat in cui c’è poca concorrenza. Infatti, per molte piante che provengono da altitudini più basse questo tipo di terreno è troppo instabile e offre una quantità insufficiente di acqua e sostanze nutritive. Le piante che sono in grado di crescere sui ghiaioni non saranno pertanto rimpiazzate tanto facilmente, neanche in caso di aumento delle temperature.

Le prospettive sono meno rosee invece per le specialiste d’alta montagna che preferiscono i terreni organici (Fig. 3). Nel corso dell’ultimo secolo hanno infatti dimostrato un tendenziale calo. Sui terreni stabili organici la concorrenza dei vicini è la più agguerrita. Uno spostamento verso luoghi più alti e più freddi è difficile, perché sulle cime il substrato organico è raro e lo diventa sempre di più con l’aumentare dell’altitudine.

 

Com’è cambiata la flora in 176 anni sul Piz Linard

Il Piz Linard (3410 m; Fig. 3), la cima che è stata studiata più a lungo e meglio in Europa, rispecchia in modo impressionante l’accelerazione che ha subito l’aumento delle specie a livello europeo: nel 1835 il primo scalatore Oswald Heer, a quel tempo professore a Zurigo, registrò un’unica pianta sulla cima (Fig. 4). Da allora, i naturalisti hanno esaminato la vetta in media ogni 20 anni. Nell’ultimo ventennio la colonizzazione della cima ha subito una forte impennata, tanto che oggi sono già presenti ben 16 specie (Wipf et al. 2013). Mentre nei primi decenni l’area era popolata dalle tipiche specie d’alta quota, i colonizzatori degli ultimi 20 anni erano tutte specie mai trovate prima a queste altitudini. È quindi evidente che solo l’incremento delle temperature degli ultimi decenni ha reso possibile questo aumento del numero di specie.

Studi con dati storici

I dati storici rappresentano una base preziosa per seguire i cambiamenti a lungo termine nella composizione degli ecosistemi (Stöckli et al. 2011). Già 100 anni fa il famoso botanico Josias Braun(-Blanquet) pensava che la qualità del suo lavoro avrebbe avuto importanti conseguenze sulla futura ricerca: «Per creare [...] una base sicura per i futuri confronti, ho analizzato minuziosamente numerose cime. […] Grazie alle dettagliate informazioni da me registrate sui vari luoghi, il successivo controllo delle mie liste non dovrebbe essere difficile e in futuro l’aumento o il calo del numero di specie potrà essere dimostrato con un buon margine di sicurezza» (Braun 1913, pag. 327). Sulla base di questi e di altri documenti siano certi della buona qualità dei dati storici sulle cime.

Come avviene per la precisione degli strumenti di misura, anche l’affidabilità dei dati – inclusi quelli raccolti da noi – deve essere verificata. Per questo motivo, su alcune vette due persone hanno rilevato i dati in maniera indipendente una dall’altra (Burg et al. 2015). Mediamente, l’elenco delle piante coincideva per l’87%. Gli errori di osservazione riguardavano in particolare le specie piccole e rare (Fig. 6) o le varietà con un periodo di fioritura limitato. Il nostro tasso di errore si colloca nei limiti di studi comparabili ed è quasi tre volte inferiore rispetto alla differenza fra la varietà di specie dei dati storici e quella attuale. Non abbiamo quindi nessun dubbio sul fatto che il notevole aumento del numero di specie da noi rilevato corrisponda alla realtà.

 

Dettagli del progetto

Durata del progetto

2010 - 2016

Direzione del progetto

Dr. Sonja Wipf

 

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