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Effetti della neve sulle pareti rocciose contenenti permafrost

 

L'altezza e la durata della copertura nevosa influiscono sulla temperatura della roccia e quindi anche sulla presenza del permafrost. Sino ad oggi si supponeva che sulle pareti rocciose ripide la neve scivolasse senza riuscire ad accumularsi. Oggi i ricercatori dell'SLF stanno studiando per la prima volta su diverse pareti rocciose contenenti permafrost se e come la distribuzione della neve e le proprietà del manto nevoso sono in grado di influire sulla temperatura della roccia e quindi sulla presenza del permafrost. Parallelamente, i partner di progetto dell'Università di Bonn e del Politecnico di Monaco di Baviera studiano gli effetti meccanici della neve e dell'acqua di fusione sulla stabilità della roccia.

Dove vengono svolte le ricerche?

Le ricerche si svolgono su alcune pareti rocciose ripide esposte a nord e a sud nelle Alpi svizzere, più precisamente sul Gemsstock (Alpi Centrali), sullo Steintälli (Alpi Vallesi) e sul Jungfraujoch (Alpi Bernesi). Il Jungfraujoch è situato al centro del permafrost. Il Gemsstock e il Steintälli si trovano invece al margine inferiore dello stesso, dove le variazioni di temperatura possono influire rapidamente sulla distribuzione del permafrost e sulla stabilità della roccia.

 

Molta neve addirittura sui pendii molto ripidi

I ricercatori misurano la distribuzione e l'altezza della neve nei diversi periodi dell'inverno attraverso l'aiuto di un laser scanner terrestre. Dove possibile, l'altezza del manto nevoso viene rilevata anche dalle stazioni meteo automatiche. Alcune telecamere automatiche forniscono inoltre tutto l'anno informazioni su condizioni meteo, distribuzione della neve, disgelo nevoso e valanghe.

Dalle prime osservazioni emerge che la microstruttura della roccia influisce notevolmente sulla distribuzione della neve e che quest'ultima può accumularsi addirittura su pendii con pendenza di 70 - 80°, soprattutto in zone a gradoni. Come previsto, le pareti rocciose verticali o a strapiombo rimangono generalmente scoperte, possono però ricoprirsi di neve o calabrosa durante una tempesta, causando improvvise variazioni di temperatura sulla superficie della roccia. Sorprendentemente la neve si scioglie più rapidamente sui pendii a gradoni esposti a nord che su quelli esposti a sud con la stessa pendenza.

 

Primi profili stratigrafici in parete rocciosa

Per la prima volta in assoluto, i ricercatori hanno rilevato alcuni profili stratigrafici nelle pareti rocciose ripide. Dalla loro analisi emerge che le proprietà della neve differiscono notevolmente a seconda del fatto che il pendio sia rivolto a sud o a nord: nelle pareti rocciose esposte a sud predominano forme e croste da fusione, mentre in quelle esposte a nord prevalgono cristalli di neve a debole coesione. Indipendentemente dall'esposizione, il vento e l'attività valanghiva giocano un ruolo importante nei meccanismi di distribuzione della neve. Nella maggior parte dei casi, sotto al manto nevoso si trova uno spesso strato di ghiaccio che si forma quando l'acqua di fusione che scorre lungo la parete rocciosa si rigela. In alcune fessure della roccia gli scienziati hanno osservato anche la presenza di brina di crepaccio, che conferma il passaggio di vapore acqueo attraverso le fessure.

Variazioni di temperatura nel cuore della roccia solo dopo sei mesi

La temperatura superficiale della roccia, misurata a una profondità di 10 cm, fornisce informazioni sulla durata della copertura nevosa, sui processi di gelo e disgelo, sugli effetti dell'acqua di fusione e sulla microtopografia. I rilevamenti dimostrano che nel periodo senza copertura nevosa si verificano ogni giorno grandi variazioni di temperatura. Sul Gemsstock i ricercatori misurano inoltre la temperatura in un foro di carotaggio lungo 40 m che attraversa trasversalmente la parete rocciosa. Questi rilievi evidenziano che le variazioni di temperatura superficiali sono percepibili nel cuore della roccia solo dopo sei mesi. Le precipitazioni e l'acqua di fusione, invece, riescono a infiltrarsi nelle fessure e possono influenzare la temperatura nella profondità della roccia nell'arco di poche ore.

Il modello numerico sostituisce i valori di misura

Per poter modellare i futuri scenari di temperatura e copertura nevosa, i ricercatori usano il modello numerico 1D SNOWPACK per calcolare lo scambio di energia tra neve, atmosfera e roccia, e quindi anche le variazioni di temperatura all'interno di quest'ultima. Ciò permette inoltre di sviluppare un sistema efficiente che simula il manto nevoso e i suoi effetti sulla temperatura della roccia, anche quando non sono disponibili valori di misura.